Una manovra standard. “Eseguita in sicurezza“. Secondo le procedure. Ripetuta “con regolare frequenza“. Una retromarcia eseguita in uno spazio di alcune centinaia di metri che per il comandante di un cargo come il Jolly Nero e di un pilota del porto è come un oceano. Lo hanno detto tutti, subito: il presidente dell’Autorità Portuale, il presidente della Regione, la compagnia di navigazione, il ministro dei Trasporti Lupi (leggi la cronaca della giornata).
Ma tutte quelle manovre abituali sono state compiute da una nave evidentemente impazzita. “Certo che in mare possono accadere incidenti così come succede per strada – ammette al fattoquotidiano.it un ufficiale della Guardia Costiera – Nella statistica è chiaro che capita una cosa simile. Non è inspiegabile: una spiegazione sarà data, anche grazie alle scatole nere. Ma una cosa come questa possiamo dire che è più unica che rara”. La premessa di fondo, intanto, è che tutto ciò che è successo in quei minuti, anche in plancia di comando, è registrato. Le scatole nere – come tutti hanno imparato con il disastro della Costa Concordia – a bordo di una nave sono due: una registra tutto ciò che operativamente accade a bordo, l’altra le conversazioni avvenute all’interno della plancia di comando (un po’ come fossero intercettazioni ambientali).
L’uscita di Ponente inagibile perché insabbiata
Cos’è successo, dunque? La nave stava uscendo dal porto, come si sa. ”Nel 2012 il porto di Genova ha movimentato 6.600 navi con circa 14mila operazioni di manovra. Dal 2008 sono stati attivati investimenti per circa 500 milioni di euro e da quella data non si sono mai più verificati incidenti”. Il problema, tuttavia, è che l’uscita di Ponente, che sarebbe stata quella più naturale, è troppo insabbiata per consentire il transito delle grandi navi.
Dunque la Jolly Nero era in retromarcia, assistita dai due rimorchiatori (uno a prua e uno a poppa), e ha percorso così diverse miglia, allontanandosi dalla cosiddetta Bocca di Ponente e avvicinandosi a Bocca di Levante. A metà strada di questo tragitto, la manovra “consueta”: in un’area più ampia, chiamata “Avamporto”, è iniziata la cosiddetta evoluzione, un giro di 180 gradi per mettere la prua verso la propria sinistra, cioè verso l’uscita.
La retromarcia che non si è mai fermata
A questo punto qualcosa non ha funzionato, perché – anziché rallentare e poi ripartire con i “motori avanti” – la portacontainer ha continuato ad andare indietro fino a schiantarsi – con la parte sinistra della poppa – contro la torre dei piloti e agli edifici di fianco, in sostanza sbriciolandoli. Una nave a motori indietro, specie in porto, si muove a velocità bassa, al massimo 3 nodi (cioè meno di 6 chilometri orari). Ma si tratta di una nave che può arrivare fino a 40mila tonnellate, lunga 240 metri e larga 30. In più c’è il meno governabile degli elementi: l’inerzia. Per fermare, girare, muovere una nave ci vogliono molti metri e molto tempo in più. Inutile aggiungere che nulla potevano fare i rimorchiatori che assistevano il cargo della Messina: qualsiasi loro resistenza è stata inutile. “Uno dei cavi di un rimorchiatore che stava aiutando la Jolly Nero a fare la manovra per uscire dal porto si è rotto, ma forse dopo l’incidente” ha raccontato il procuratore di Genova Michele Di Lecce. Il resto l’ha fatto il caso. La poppa della nave, del resto, ha impattato proprio in quel punto della banchina, dove si trovavano più persone.
Varie ipotesi: dall’avaria ai motori alla velocità eccessiva
Quello che è successo, insomma, appare chiaro. La questione aperta resta il perché è successo. E’ difficile, per i motivi che abbiamo detto, pensare a un errore umano, un giudizio sbagliato sulle distanze, manovre inesatte. Genova è il primo porto d’Italia, ha piani di sicurezza di livello e non ha mai messo in luce alcun problema di traffico in entrata o in uscita. Per giunta quello è il momento in cui l’equipaggio nella sua interezza è concentrato e impegnato al cento per cento. Non si è in mare aperto, non ci sono turni. Tutti partecipano a tempo pieno: il comandante è in plancia, ogni membro dell’equipaggio è chiamato a lavorare senza riserva.
L’esperto: “Messina compagnia di primo livello”. Ma nessuno ha controllato i motori?
Lupi alla Camera ha parlato di varie opzioni: l’avaria, problemi ai cavi di trazione dei rimorchiatori, difetti di accosto o la velocità della manovra. Fatto sta che sono indagati sia il comandante della nave sia il pilota del porto. Ma a cosa serve quest’ultima figura? “La presenza del pilota del porto è obbligatoria e la compagnia la paga – risponde Nicolò Carnimeo, docente di diritto della navigazione all’Università di Bari e blogger del fattoquotidiano.it – Il pilota sale a bordo della nave prima della partenza e scende appena la nave ha raggiunto la distanza di sicurezza dal porto. Materialmente è l’equipaggio che manovra la nave e il comandante a dare gli ordini”. Il pilota, insomma, affianca il capitano e dà suggerimenti per le manovre. “L’Unione Europea aveva chiesto più liberalizzazioni, ma il sistema italiano è rimasto più o meno uguale proprio perché è ritenuto sicuro”. “Da quanto ho capito finora – conclude il professore – è stata una strana manovra. Un pilota la fa 5 volte al giorno. Ma verosimilmente tutto è stato causato da un guasto meccanico. Dopotutto la Messina è una compagnia di primo livello, con equipaggi preparati e comandanti esperti”. Una questione resta tutta aperta. I comandanti delle navi sono tenuti, per leggi e protocolli di sicurezza, a controllare prima della partenza che tutto funzioni: dispositivi elettronici, ma anche i motori. Perché, nel caso si sia trattato davvero di un’avaria, nessuno si è accorto che qualcosa non andava?